18/10/2022 Davide

Perché nel Metaverso non c’è nessuno?

Perché nel Metaverso non c'è nessuno. Il blog di TNA.

Di Davide Pellegrini

Una delle cose che piace dei sistemi decentralizzati è la possibilità concessa agli utenti di organizzare autonomamente contenuti e tools al servizio della community. Così DCL Metrics, strumento di analisi costruito dagli utenti di Decentraland, publica i dati di affluenza di settembre, circa 57mila utenti unici, e di ottobre, poco più di 7mila utenti al giorno. Numeri non proprio entusiasmanti per una realtà valutata 1,3 miliardi di dollari. Persino Second Life, con la sua community da 500mila utenti conta una partecipazione e fidelizzazione maggiori.

Che succede, ci si chiede? Nel Metaverso non c’è nessuno… titolano alcuni periodici e giornali, come fosse una “Meta” turistica qualsiasi, come fosse un locale che, dopo il gran fragore dell’inaugurazione, resti vuoto alle ore di punta.

Dal mio punto di vista che, come sapete, è ormai velatamente polemico, l’attesa di successo attorno alle piattaforme come Decentraland, The Sandbox, la stessa Second Life sono il risultato di visioni miopi e superficiali.

Prima di tutto è paradossale e piuttosto imbarazzante immaginare il Metaverso come un ecosistema alternativo di realtà virtuale, qualcosa che dovrebbe presupporre tante individui sorridenti quotidianamente connessi per mezzo di un visore. No, dico, provate anche solo a immaginare che razza di incubo potrebbe essere avere a che fare con un’umanità alienata per 7-8 ore al giorno dentro i mall hyper-commerciali dell’Oculus! Trovarsi ovunque questa specie di Polifemo digitali, da Starbucks a Ikea!

Nemmeno ci trovassimo a pagina 50 di un romanzo distopico di William Gibson.

Poi, va detto, il Metaverso è una teoria, un concetto, semmai quelli che già esistono sono tanti multiversi, spazi circoscritti, legiferati da sistemi specifici di regole. Minecraft conta 141 milioni di utenti unici attivi al mese, Roblox circa 200 milioni, Fortnite è a quota 80.

Queste ultime 3 piattaforme, però, dovrebbero dirci qualcosa. Sì, perché il filo conduttore, il driver motivazionale per stare in un Multiverso è avere uno scopo, come nel caso del gaming che, grazie ai nuovi approcci che vanno molto al di là della sequenzialità narrativa tradizionale, diventano anche community, marketplace, sistemi di scambio e confronto di prassi, piattaforme di co-design e co-creazione. Il gaming offre, quindi, la motivazione reale all’esplorazione. La scoperta e la competizione, da un punto di vista psicologico, la dopamina e l’endorfina dal punto di vista neuro-chimico. Funziona anche per community specifiche animate dallo stesso spirito di scopo. Discord ha dato vita a un dinamismo incredibile attorno alle sperimentazioni grafica in AI di Midjourney.

Viceversa, semplicemente immaginare di costruire una specie di fotocopia della realtà in digitale da vivere in modo alternativo allo spazio fisico, a me personalmente sembra una visione ingenua e inutile.

Anche perché, diciamocelo, le ultime generazioni – dai dati presentati ultimamente solo 7 ragazzi su 100 partecipano al Metaverso – hanno un’idea meno ingenua della nostra rispetto al ruolo e alla funzione delle tecnologie nel sistema socio-culturale. Non basta offuscargli il cervello con il 3D immersivo o altri magheggi per fargli dimenticare che c’è ancora tanto, tantissimo da fare nel dannato mondo reale. Strano vero? Molti di noi, ormai nel disincanto delle idee, avrebbero giurato che la Thunberg sarebbe diventata l’icona di una maglietta un pò come è capitato per i nostri miti giovanili, da Bob Marley a Che Guevara. Ma non è così. Molti ragazzi credono in quello che fanno e lo fanno seguendo altri moti comportamentali, altri stili di vita, convinti (come lo siamo stati noi) di cambiare il mondo. Solo chi ha già fatto scorta fino alla nausea di vita reale ne ha talmente abbastanza da ipotizzare una piena realizzazione nel suo analogo digitale.

I ragazzi scelgono al vita reale, e questo ci porta dritti a un’altra considerazione.

Queste potentissime tecnologie non sono sostitutive di qualcosa, piuttosto ci dovrebbero consentire di ragionare in termini di facilitazione, agevolazione, commodity. La possibilità di ottenere funzionalità di approfondimento conoscitivo mediante la realtà aumentata non può sostituire le sensazioni, le emozioni, le percezioni dell’esperienza reale, può migliorarne la lettura e la comprensione. Sarebbe come scegliere di vedere la Gioconda attraverso un visore avendocela di fronte. Dobbiamo trovare l’equilibrio aureo per cui il digitale diventi una funzione aggiuntiva, opzionale, sinestetica dell’esperienza fisica diretta.

So che per molti di noi, la confusione generata dai social media è difficile da riordinare. Il fatto che alcune esperienze – come andare a mangiare un buon piatto o bere un buon vino – non sembrino più esistere se prima non siano documentate e pubblicate su un social non dimostra affatto che le persone desiderino vivere nella virtualità; piuttosto sono l’ennesima prova che la rappresentazione digitale della vita si esprime mediante un continuo gameplay estetico… la competizione delle immagini, l’acquisizione di punti nella forma di like o follower, la sensazione di benessere data dal successo di un post o di un video, le polarizzazioni e le discussioni in cui si vince o si perde. Un gioco tecnologico composto da tantissime piattaforme, applicazioni, interconnessioni, interazioni in cui le merci più utilizzate sono l’esibizione di sé e le performance.

Questo sistema drogato da potenti algoritmi è quello che gli unicorni della tecnologia intendono portare nella nuova era del web, quella del Metaverso. Come se si trattasse di un’arena pronta per continuare il gioco iniziato 15 anni fa sui social. Lo dimostra il fatto che in questa fase l’offerta presente su Oculus non è altro che il web in un Device diverso – una nuova bandierina per la UX.

E, anche se pare già annunciato che il grande trend dei mondi meta sarà la connessione tra le persone, c’è da chiedersi in che modo le potenzialità di questo strumento potranno davvero diventare fondamentali per asset come la ricerca, la sanità, l’educazione, e staccarsi dal facile mercato dei social media.

Per ora siamo solo alla fase Beta di Meta, ma non sarebbe strano se rimanessimo per ancora molto tempo ancorati a questo livello perché se è vero che nel Metaverso non c’è nessuno, è altrettanto vero che per ora non c’è alcuna ragione per starci.

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