La pandemia ha costretto molti di noi a ripensare il proprio mondo. Per i più si è trattato di prendere le misure con un nuovo stile di vita, rafforzato dal remote working come condizione centrale. Per altri è diventata nel tempo un’opportunità per uscire da una zona di comfort a volte rigida e ripetitiva e affacciarsi su un mondo in movimento in cui l’evoluzione tecnologica si lega alla trasformazione sociale, espressiva e comportamentale. Per usare parole semplici, un mondo che cambia velocemente e mette al centro le persone, i loro progetti, aspirazioni, valori, bisogni.
Resta, invece, tutto da esplorare l’universo video e podcast. La pandemia, due anni comunque impegnativi, ha portato un’altra percezione del tempo e ci ha messo di fronte alla fragilità della vita sociale e delle community di relazioni. Un fatto importante, perché per molti i video di YouTube o le dirette di Facebook e Instagram hanno rappresentato un aiuto psicologico per combattere l’ansia e lo stress (con un boom vero e proprio di clip fiction di tipo comico, la entertainment); in altri casi hanno permesso alle persone di conoscere cose che ignoravano (infotainment) e approfondire aspetti dell’auto-organizzazione della propria quotidianità che, dal tutorial alla formazione, hanno fatto crescere competenze e hobby. Hanno allargato le prospettive della conoscenza e dell’apprendimento culturale e, dato importante, fatto sentire le persone meno sole facilitando la ricostruzione, seppur virtuale, di relazioni sociali basate su interessi comuni.
L’impatto del content sul versante della professione e della produzione ha introdotto alcuni elementi fondamentali:
1 – l’esplosione del video come strumento di comunicazione branded oriented, non più e non solo secondo la metrica pubblicitaria della comunicazione = valorizzazione del prodotto = consumo, ma come costruzione di contenuti di valore. In alcuni casi, pensiamo all’industria culturale, la video-divulgazione è diventata un importante modo per raccontare i progetti e attrarre fruitori e pubblico (audience engagement). Pensiamo, ad esempio, ai musei;
2 – l’affermazione progressiva e in continuo sviluppo di competenze tecniche di progettazione, produzione e post-produzione. Oggi, grazie a un orientamento ben costruito nel modello di creazione di un contenuto e con le strumentazioni disponibili è davvero possibile realizzare un’attività di content-producer di medio, buon livello;
3 – il perfezionamento di hardware e software. Mai come in questi ultimi anni si è raggiunto un picco così alto nella commercializzazione di prodotti e servizi dedicati al digital content. Da camere per il vlogging a gimball, da consolle per la regia a tastierini per lo streaming, da strumenti per la produzione professionale di podcasting a schede di acquisizione video per gaming di vario tipo. Per non parlare dei software, un numero infinito di applicazioni, spesso in dotazione direttamente sulle piattaforme di video-hosting come #YouTube, #Instagram, #TikTok.
Oggi il content design è la prospettiva di un mestiere tra conoscenza della rete e dei mercati, creatività e contenuto, modello di produzione e distribuzione; un mestiere in crescita che può raggiungere livelli davvero alti e correre ai ripari di settori sempre più in crisi, come la cultura, l’educazione, l’informazione, la sanità.
Se vuoi approfondire il nostro percorso in Digital Humanities, vai sul sito dell’educational previsto a partire da fine giugno 2022.